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lunedì 20 dicembre 2010

Antichi luoghi di Culto in Liguria 7

Monte Beverone, l’Olimpo della Val di Vara
Lasciata alle spalle l’esigua chiesetta dell’Ulivo, la mulattiera sale fino all’abitato di Rocchetta Vara, attraverso il quale si passa per incamminarsi verso Zignago. Se, al contrario, si svolta a destra appena prima del paese, si può percorrere la ripida e disagevole mulattiera che conduce a Beverone.
Tale toponimo designa un imponente sperone roccioso di altezza massima 706 metri s.l.m. che domina tutta la Val di Vara ed oltre, dal Passo del Bracco fino a Bocca di Magra, ed il modesto paesello costruito a ridosso di esso, sul versante nord. Il villaggio è composto da una ventina di case in pietra intonacata, tinte di un particolare color vinaccia che è difficile trovare altrove e tutte hanno la parvenza di essere rimaste proprio così come le vide, nel 1933, il "Viandante", lo studioso Carlo Caselli, che partì "a trotto d’asino" per visitare i borghi più sconosciuti della Lunigiana.
Infatti, a quel tempo, Beverone era considerato paese della Lunigiana, tanto che, come ci informa il Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, nel 1839 era ancora sotto la giurisdizione di Aulla.
Questo minuscolo borgo, all’apparenza privo di interesse storico, cela in realtà un passato importante, rivelatoci già in parte dal suddetto dizionario che lo definisce prima "villaggio con castellare e chiesa parrocchiale" e in seguito "castello con parrocchia".
Sulla cima del monte, infatti, dove la macchia erbosa si ritrae per lasciar posto alla nuda roccia, sorge la chiesina di San Giovanni Decollato, dal cui sagrato si gode una delle più belle panoramiche della Liguria di levante. Oltre il muretto che delimita lo spiazzo, il monte cala a picco verso la valle in una suggestiva parete rocciosa irta di massi aguzzi e ornata, qua e là, da coraggiosi arbusti mediterranei. Il vento spira costantemente sulla vetta e, come testimonia la memoria orale, durante i temporali essa è bersagliata da numerose saette che scaricano il loro furore elettrico sulla roccia inerme.
Questo dato è interessante poiché è risaputo che i fenomeni naturali particolari come appunto fulmini, tuoni ecc. erano oggetto di timorata venerazione da parte degli antichi Liguri e, in alcune zone, rimangono tracce toponimiche di simili culti.
In ogni caso, una vetta così eccezionale deve essere stata frequentata fin dall’epoca preistorica, se non altro per la sua estrema rilevanza strategica come "vedetta". Infatti, poco fa si era parlato di un castello, anche se chi si aspetta un bel forte medioevale turrito e incoronato di merli rimarrà forse deluso.
Il castello, o quel che ne rimane, infatti, costituisce la base irregolare su cui è stata costruita, probabilmente prima dell’anno mille, proprio la chiesa parrocchiale di San Giovanni, che viene pubblicizzata dagli enti turistici locali come una delle più antiche di tutta la Liguria.
Considerando queste informazioni, si può dedurre che il "castello" di cui si accennava doveva essere, in realtà, un castrum romanico edificato forse come vedetta in un punto veramente funzionale allo scopo. In effetti, se si osserva bene la parrocchiale, la forma asimmetrica della chiesa e il profilo eccessivamente tozzo del campanile staccato fanno subito pensare ad una fortificazione più che a un edificio religioso.
Proprio alla base del campanile/torre, come riporta il Caselli, era usanza antica (perpetrata fino ai primi anni del ‘900) di deporre i morti, "senza cassa e privi d’ogni cosa terrena", in due profonde buche, una per gli uomini e l’altra per le donne, quasi si temesse che anche i cadaveri potessero commettere peccati carnali.
Tali buche, coperte in antichità solo con lastre d’ardesia ed oggi murate, fornirebbero sicuramente, in caso di scavi archeologici, ottimi indizi sulla cronologia di frequentazione del sito e costituirebbero un primo campione per lo studio di una pratica funeraria di cui ancora si sa poco.
Oltre a riportare questa inquietante tradizione, il Caselli ci informa di aver notato, poco distante dalla parrocchiale, "tracce evidenti d’antiche capanne, forse abbandonate prima del mille, quando fu eretta la chiesa, una delle più antiche della regione".
L’osservazione del Caselli è di estrema rilevanza per rafforzare l’ipotesi di un insediamento preistorico in vetta al Beverone e la parola "castellare" utilizzata nel Dizionario del Repetti non può che far pensare anch’essa ad una fortificazione preistorica a cui, per importanza strategica, sarebbe succeduto lo stanziamento castrense romanico, in seguito trasformato in chiesa.
Se a queste considerazioni aggiungiamo l’inusuale pratica d’inumazione in buche ai piedi del campanile/torre, sopra una vetta strettamente legata al fenomeno atmosferico dei fulmini, appare evidente che non stiamo effettuando ipotesi casuali e azzardate. Inoltre, un’interessante tradizione orale locale narra che l’abitato di Beverone si trovava, anticamente, sulla vetta del monte, vicino alla chiesa. Successivamente, a seguito di un cataclisma, il villaggio sarebbe scivolato più a valle, fermandosi dove lo troviamo ora.
Sembra di poter dire, senza esagerare, che questa breve leggenda costituisce la "prova del nove" della nostra ipotesi e rappresenta, per gli autoctoni, un’inconsapevole consapevolezza del proprio passato.
Oltre a confermare le nostre supposizioni, la breve leggenda ci dà un importante indizio sulla motivazione dell’abbandono dell’insediamento sommitale. Il "cataclisma" di cui si parla, infatti, magari legato ai frequenti fulmini che si abbattono sul monte, potrebbe aver spazzato via il villaggio in epoca remota e, verosimilmente, indotto la popolazione a trasferirsi più in basso, sul versante più protetto del Beverone, al fine di evitare altri disastri. Del resto, è quello che è successo, seppur in termini diversi, nel VII e VIII secolo, lungo tutta la costa ligure: dopo il passaggio delle orde di Rotari, i sopravvissuti al massacro si trasferirono lentamente verso la costa, dove pensarono di essere più al sicuro da nuove incursioni barbariche.
È del tutto plausibile, quindi, che la sommità del monte Beverone abbia ospitato, nella preistoria, un insediamento abitativo con castellaro (e, forse, necropoli) che, qualche secolo dopo l’abbandono, sia stato occupato dall’esercito romano e trasformato in presidio militare. In seguito all’abbandono del sito anche da parte dei latini, il nascente cristianesimo lo avrebbe trasformato in luogo di fede, esorcizzando ciò che era stato prima anche se, forse, non abbandonando la sepoltura in fossa comune, usanza verosimilmente antica.
Oltre a ciò, si consideri che Beverone sorge in prossimità dell’antico percorso che, scendendo dal Passo dei Casoni, si dirige verso il Golfo della Spezia attraversando dapprima Stadomelli poi Beverino.
Proprio quest’ultima località sembra molto legata a Beverone, tanto che, in origine, entrambi venivano chiamati con il toponimo Beverino, che discenderebbe dal verbo latino bibere, che solitamente indica un luogo adatto all’abbeveraggio del bestiame oppure da bedum/bevum, frequente radice di idronimi col significato di "abbondanza d’acqua".
Di certo l’acqua non deve essere stata la causa dell’omonimia tra i due insediamenti poiché, se Beverino si trova in prossimità del Vara, in una vallecola ricca di sorgenti, Beverone, sulla cima del suo monte spelacchiato e piuttosto arido, probabilmente non ha mai conosciuto una vera abbondanza idrica.
Può essere che i due borghi fossero legati da un’origine comune, essendo uno ai piedi dell’altro, magari come centro abitato e centro religioso e/o funebre di una medesima comunità che li avrebbe, per questo, frequentati entrambi.
In proposito di Beverino, recentemente il
Prof. Enrico Calzolari, noto sostenitore dell’Archeoastronomia ligure e autore di notevoli scoperte in tale campo, ha studiato gli allineamenti solari delle monofore paleocristiane alla base della cappella di San Cipriano di Beverino, comparandoli a quelli del sito archeoastronomico di San Lorenzo al Caprione, purtroppo senza trarne risultati soddisfacenti.
Le tre monofore, orientate nord/ovest/sud, hanno gradi di orientamento diversi da quelli di San Lorenzo al Caprione e inquadrano azimut solari differenti. Tuttavia, anche se forse non ci sono collegamenti tra San Cipriano e Beverone, la monofora orientata nord, l’unica che non corrisponde ad un azimut solare, si trova orientata esattamente verso monte Beverone, con una differenza di poco superiore ai 10", distribuiti su quattro chilometri in linea d’aria.
Che San Cipriano presso Beverino e il monte Beverone fossero in qualche modo connessi tra loro? Che esistesse qualche funzione, magari religiosa, che accomunava i due siti? Forse uno studio archeoastronomico della chiesa di San Giovanni di Beverone risponderebbe a questi quesiti. Per quanto riguarda San Cipriano, invece, ulteriori studi sono impossibili a causa degli edifici sorti, nel tempo, intorno alla cappella, che non permettono alle monofore di inquadrare il sole se non quando è già alto sull’orizzonte.
Forse monte Beverone è l’Olimpo della Val di Vara, un luogo "irraggiungibile" dove le antiche genti collocarono i loro déi, dove uomini forti e tenaci stabilirono la loro dimora in un luogo impervio, spesso soffocato da basse nubi e bersagliato dai lampi, costantemente frustato dai venti. Forse, quegli uomini stessi erano déi, in una età dell’oro in cui la razza umana era più possente e, forse, più propensa alla felicità.

Beverone, la parrocchiale di San Giovanni Decollato


La media Val di Vara vista da Monte Beverone


Monte Beverone - antica spianata sommitale


Beverone - il ripido sentiero verso la chiesa

Antichi luoghi di Culto in Liguria 6

Sulla strada per Beverone: La Madonna dell’Ulivo
L’antica mulattiera che, dipartendosi dalla piana alluvionale di Brugnato, sale ripida fino al monte Beverone, "tetto" della media e bassa Val di Vara, era un itinerario di sicura importanza nel passato. Era, infatti, la più rapida via di collegamento tra il territorio dello Zignago e il bivio, situato probabilmente presso il letto del Vara, che permetteva di scegliere se proseguire verso sud fino al mare oppure di svoltare sulla via romea in direzione della Lunigiana o del Genovesato. Questo già quando ancora non esisteva Brugnato e il fiume non aveva riempito di detriti la valle fino a farla diventare la fertile pianura che oggi conosciamo.
A soli due chilometri da Brugnato, su questo antico percorso, ormai caduto in disuso, sorge un modesto santuario, che la storia vuole eretto dai monaci del vicino convento di San Colombano per officiare le funzioni durante i lavori di restauro della loro chiesa.
Si tratta della "Madonna dell’Ulivo", oratorio di pietra intonacata ad unica navata, senza orpelli o fregi degni di nota. Anche in questo caso, la leggenda sostiene che un quadretto ligneo raffigurante la Madonna con bambino fosse stato rinvenuto tra i rami di un ulivo e, dato l’evento considerato miracoloso, fosse stata costruita la cappella.
Oltre alla consueta formula del racconto di apparizione di cui, in questo caso, è rimasto solo il nucleo, riscontriamo che il santuario si trova, come tutti gli altri descritti finora, in prossimità di una via di comunicazione importante, per cui è del tutto probabile che si trattasse di un luogo sacro ai pagani, che sarebbe stato convertito.
In effetti, anche la storia dei monaci che lo edificano in sostituzione del loro oratorio, chiuso per lavori, non è molto credibile. Il convento, infatti, per quanto vicino, si trova comunque a quattro chilometri, dalla parte opposta della vallata ed è piuttosto inverosimile che i monaci abbiano scelto un sito non velocemente raggiungibile né per la costruzione né per la frequentazione.
È più probabile, invece, che la Madonna dell’Ulivo sia stata eretta sul luogo in cui i viandanti pagani, che seguivano la strada verso Zignago, si fermavano a venerare un idolo naturalistico o agrario, forse legato proprio all’ulivo (come per il Santuario di Roverano), alla stregua di una maestà contemporanea che, in un punto particolarmente faticoso del percorso, protegge il pellegrino e lo incoraggia a proseguire.
L’ulivo è uno dei tanti simboli precristiani che il cristianesimo ha fatto suoi e non sorprende il fatto che la Vergine scelga proprio tale albero per la sua apparizione.

giovedì 2 dicembre 2010

Antichi luoghi di culto in Liguria 5


Cassana: castellaro, chiesa e grotte

Il territorio di Cassana, su cui sono sparse otto frazioni, prende il nome dal torrente omonimo, che sgorga dal monte Bardellone, pochi metri sotto il passo e si snoda in una valle profonda e verdeggiante, fino alla confluenza con il Rio Redarena che poi si getta nel Vara.
Sulla sommità di un monte, a metà dell’antico percorso Levanto/Borghetto Vara di cui abbiamo già parlato, sorge il nucleo principale del paese, costituito dalle frazioni Corneto, Il Prato, La Via e Chiesa. Proprio quest’ultima frazione suscita il nostro interesse poiché, se le altre località si sono sviluppate solo a partire dal X secolo, Chiesa ha un’origine più antica, collocabile nell’ultima fase dell’età romanica (III/V secolo).
L’attuale chiesa parrocchiale di San Michele, che dà il nome alla località, infatti, è stata costruita nel XVI secolo sulla base di un preesistente edifico difensivo romanico. Quello che oggi è il campanile era, una volta, la torre a pianta quadrangolare della fortificazione ed i possenti muri perimetrali della chiesa erano antiche muraglie a probabile difesa di un insediamento militare relativamente stabile.
In effetti, la posizione della fortezza risulta rilevante ai fini di un controllo militare del territorio e della rete viaria, poiché si trova in posizione dominante rispetto alla strada principale dal mare ai monti di cui sopra, oltre alle mulattiere delle vallate circostanti, compresa la direttrice EO, dal golfo spezzino al genovesato.
Tuttavia, il castrum romanico non è il primo insediamento nella zona. A nord-ovest del borgo di Corneto, infatti, si trova il monte Castellaro, lungo una delle mulattiere che portano alla Foce del Bardellone. Il toponimo "Castellaro", come abbiamo già notato, è quasi sempre sinonimo di un insediamento fortilizio preistorico, i cui resti sono stati effettivamente rinvenuti su questa sommità.
Si tratta di imponenti muri a secco disposti a terrazze, simili a quelli ritrovati in molti altri siti della stessa tipologia. Tale castellaro preistorico controllava, molto probabilmente, l’antica mulattiera vicino alla quale sorge, come avrebbe fatto il forte romanico in tempi successivi.
L’insediamento umano in queste valli è sicuramente molto antico e, nell’intricato sistema di cavità carsiche che caratterizza la vallata, alcuni studiosi hanno ipotizzato, per ora senza riscontri, una frequentazione dell’homo neanderthalensis.
Proprio alla stretta imboccatura di una di queste cavità, chiamata "Resciadora" (sfiatatoio), posta sul ciglio della strada che porta a Pignone, potrebbe essere legato un antico culto naturalistico.
Questo anomalo fenomeno carsico si presenta, infatti, come un angusto tunnel con due aperture: quella posta più in alto, nel sottobosco, è un pericoloso inghiottitoio di circa un metro di diametro, mentre quella posta a livello della strada è una singolare fenditura rocciosa da cui, secondo la leggenda, in estate soffia un vento freddo e, in inverno, sgorga un’acqua limpida e gelata. Il vento freddo proverrebbe addirittura dal mare e, infilandosi in un’apertura costiera, sarebbe incanalato dalle cavità carsiche fino a sfociare a Cassana.
Effettivamente, con un rapido sopralluogo, ci si accorge di come la leggenda sia, ancora una volta, vicina alla realtà. L’aria che soffia incessante dallo sfiatatoio, infatti, è decisamente fredda anche in pieno agosto e il rivolo di acqua pura che ne sgorga sembra destinato ad aumentare la portata, nelle stagioni piovose. La Resciadora, inoltre, fa parte del complesso sotterraneo della Caverna Ossifera, cavità naturale dove nel 1824 il professor Paolo Savi di Pisa rinvenne grande quantità di ossa di varie specie animali.
Su questo sito aleggiano diverse leggende che lo vedono dimora di fate malvagie e diavoli, luogo di quelle diaboliche processioni di lumi che sono tanto frequenti nella tradizione orale ligure.
In effetti, è possibile ipotizzare una frequentazione sacra del sito proprio partendo da queste piccole leggende.
Fate e diavoli, infatti, in quanto esseri dell’altro mondo, sono in stretto contatto con il regno dei morti e la loro funzione, nella favolistica tradizionale, è proprio quella di intermediari tra i due mondi. Inoltre, la processione di lumi di cui si parlava prima è una manifestazione che i morti, appunto, mettono in atto nel regno dei vivi. In tutte le storie che riportano queste processioni, chiamate anche "menada", esse sono sempre in contatto stretto con l’aldilà. I partecipanti a questa ritualità blasfema sono spesso descritti come fantasmi, morti, ossa di morti, fiammelle (cioè fuochi fatui) o streghi. Gli streghi, nella cultura popolare europea, sono sicuramente il rimasuglio di un immaginario antico, che rimanda a personaggi dotati di poteri "magici" di tipo sciamanico e, per questo, legati anch’essi al mondo dei morti(1).
Il fatto che le leggende fiorite intorno alla Resciadora, quindi, siano imperniate tutte su figure mitiche che da sempre hanno a che fare con il mondo dei morti, non può che suggerirci l’ipotesi che questo luogo così suggestivo, che unisce due leitmotive della sacralità preistorica, la grotta e la sorgente, avesse in qualche modo a che fare con le pratiche funebri. La grotta, infatti, è il significativo luogo di sepoltura preferito dalle antiche genti liguri, come ci dimostrano, ad esempio, i siti sepolcrali dei Balzi Rossi (IM), Arene Candide (SV), Equi Terme (MS) ecc.
Questo potrebbe giustificare anche l’evidente intento esortativo delle leggende a non avvicinarsi troppo ad un luogo popolato di essere diabolici e soprannaturali, come memoria inconscia di un sito forse importante per la religiosità pagana, considerato "empio" e, quindi, interdetto ai cristiani.
Si tratta solo di un’ipotesi, certo, ma forse non tanto lontana dalla realtà. Gli indizi ci sono.
Inoltre, non dimentichiamo che il nome "Cassana", come già detto, deriva probabilmente dal termine celtico cassanus, che indicava la quercia, albero sacro per i celto/liguri e, forse, proprio in questa vallata era situata una selva consacrata, per cui il termine generico sarebbe diventato, poco a poco, toponimo.

Note:
(1) Carlo Ginzburg, Storia notturna, Torino, Einaudi, 1995


Sentiero Bardellone-Cassana: passerella medievale

Cassana, interno della grotta Resciadora